di Alessio Baschieri – www.alberodelcaffe.it

Brillante è un aggettivo visivo: luminoso, scintillante, splendente. In senso figurato è frizzante, geniale, pieno di vita e di brio. Brillante può essere una persona, un’idea, una danza, un’esecuzione musicale. Il vino è brillante quando è vivace e forte, intenso e gagliardo nelle sue poche e semplici peculiarità.
Nel caffè i tratti distintivi sono dati dal terroir (il luogo dove è nato), da come è stato coltivato (scelta dei varietali, cura dell’ombra, potatura, nutrimento) e da come è stato lavorato (dalla raccolta delle ciliegie fino alla preparazione della bevanda): se tutto è al suo meglio, posso vivere l’esperienza di bere un caffè brillante, una sensazione positiva e frizzante che proviamo non tanto nella bocca quanto sulla pelle e nel corpo.
Un “effetto Wow” che viaggia sulla chimica della caffeina (sostanza psicoattiva) e ravviva i colori dello stato d’animo che stiamo vivendo nel nostro rito del caffè.
Rito che, abbiamo visto, è uno dei più importanti momenti di costruzione della nostra identità. È comprensibile perché un caffè brillante sia una merce preziosa e ricercata da amatori in tutto il mondo.

Ma questa è una scoperta recente, risultato della grande rivoluzione che stiamo vivendo in questo ultimo decennio. Il caffè, da coloniale, è da sempre una coltura di sfruttamento. Agli uomini ed alle piante si chiede produttività a basso costo, prima con la schiavitù, poi con le politiche post coloniali che hanno portato alle prime crisi del caffè (alcune legate alle crisi del petrolio), al mercato (troppo) libero ed infine all’ultima grande crisi (anni 2000-2006) che ha, piano piano, portato ad una nuova forma di colonialismo. Che è ciò che stiamo vivendo oggi.
Se pensiamo che poter vendere le ciliegie al Coyote che offre di più sia una opportunità, dovremmo chiederci perché le carovane di emigranti dal centro e sud America siano composte prevalentemente da coltivatori di caffè che abbandonano le “terre alte”.
Il bisogno di sicurezza per la sopravvivenza è una merce che un grande valore di scambio: la libertà.
Nascono così le grandi “fabbriche” di raccolta e lavorazione del caffè nei principali luoghi di produzione, praticamente in tutto il mondo: accettano solo coltivatori registrati, caffè con pochi difetti, pagano una miseria e garantiscono sicurezza e protezione. Il nuovo colonialismo dona proprio questo: la sicurezza di non essere soli nella tormenta del libero mercato, in cambio di lavoro sottopagato ed alla rinuncia al perseguimento di una vita migliore. Ogni singolo coltivatore sceglie in libertà, e per questo dobbiamo comprensione e rispetto.

L’abbandono della speranza porta alla perdita del rispetto per l’ambiente, per la casa dove ho le radici e nella quale crescono le nuove generazioni, finché rimane un luogo nel quale reperire le risorse per andare avanti. Le regole della povertà consentono solo due strade: lasciarsi completamente andare oppure spremere la terra fino all’ultima goccia vitale.
Nel primo caso avrò piante lasciate a sé stesse, non curate, non nutrite. Piante che sopravvivono a stento e danno quello che possono, ma che non costano tempo né soldi. Nel secondo caso l’appezzamento di terra sarà stipato con varietali ad alto rendimento, spesso in monocoltura e con poca o nessuna ombra, potate per produrre, nutrite con secchiate di fertilizzanti chimici, con i rami che si piegano a terra per il carico insostenibile.
È una realtà a livello globale e, per dare un po’ di numeri, oltre il 60% dei varietali antichi è già stata sostituita dai nuovi ibridi ad alta produttività e quasi il 70% del caffè da filiera proviene da queste grandi “fabbriche” di raccolta e lavorazione.
Filiera infatti significa che ogni lotto di caffè è tracciabile, ed una volta ottenuto questo passaggio con la registrazione dei contadini, è possibile aggiungere qualsiasi tipo di marchio, specialmente se privato. Costa poco e dà lustro al cliente ed al sistema politico ed economico dominante.
Nella coltivazione non equilibrata, ciò che perdiamo è la brillantezza: in tazza grossi difetti non ce ne sono, ma bevendo ho la sensazione di un velo che offusca la forza gagliarda dei sapori.
Pelle, bocca e naso inviano informazioni complesse soprattutto al nostro subconscio, al secondo cervello, attivano il bioma. Il “sistema” risponde producendo ormoni: serotonina (buonumore), dopanìmina (felicità), ossitocina (senso di appartenenza ed amore), gaba (serenità) e feniletilamina (gioia).
È nella brillantezza che risplende la soddisfazione dell’amante.
